1. (Grosseto) Le cicale della maremma e una vecchia contessa


    Data: 07/12/2021, Categorie: Sentimentali Autore: Familiare, Fonte: EroticiRacconti

    ... o del kefir fresco» aveva detto la contessa, sciabattando attraverso la sala «È latte fermentato, una tradizione della nostra famiglia. In Russia lo bevono ancora.»
    
    Avevamo optato per l’acqua.
    
    La vecchia era sparita e tornata con due bicchieri sottili come velo di cipolla e resi opachi dall’usura. Era rimasta a squadrarci mentre bevevamo: «Siete proprio belli» aveva sorriso, poi aveva preso una cornice d’argento ossidata e ce l’aveva mostrata: «Questa ero io da giovane. Visto come somigliavo alla signorina?»
    
    In realtà non molto.
    
    La vecchia aveva capelli neri, occhi azzurri e lineamenti dell’est. L’italiano lo parlava una meraviglia, però. Ciaccolava come un anfitrione professionista. Aveva chiesto da dove venivamo, quanti anni avevamo e se eravamo fidanzati.
    
    «Solo colleghi» aveva risposto Paola.
    
    Ed era vero.
    
    Dopo altre ciaccole ci aveva preso i bicchieri di mano e indicato una porta, dicendo che lì era quello che ci interessava. Aveva aperto un doppio portone con minuscole maniglie d’ottone, rivelando una stanza con un caminetto centrale di marmo, pareti rosa antico e divanetti del primo ottocento in seta, sempre rosa. C’era un pianoforte a coda coperto da un telo, applique mezze storte con lampadine bruciate e gli abatjour anneriti dal fumo, un paio di specchi ammalorati in foglia d’oro e un mobiletto dell’800.
    
    Sopra il caminetto c’era lui.
    
    All’improvviso avevo freddo, e avevo sentito Paola trattenere il fiato. Avevo acceso la torcia del ...
    ... cellulare e mi ero avvicinato al quadro. Era molto meglio che in foto. In basso, la firma era quasi illeggibile. Mentre osservavo, la contessa aveva frugato nel mobiletto e tirato fuori una busta di plastica con un foglio ingiallito, scritto in calligrafia elegante e sbrigativa.
    
    Era in francese e non la capivo.
    
    La firma e la data invece sì.
    
    Tenevo quella busta tra le mani mentre la vecchia spiegava che il uo bisnonno, aristocratico russo, era scappato da San Pietroburgo nel 1902, appena saputo della costituzione del partito bolscevico. Era andato in Francia e aveva fatto amicizia con un pittore che gli aveva regalato il quadro.
    
    «È rimasto con la nostra famiglia da quella volta, solo che io non ho né figli né nipoti, e mio marito Ulderico è mancato» aveva spiegato la contessa «Quindi sto dando via tutto quello che me lo ricorda.»
    
    Mi ero voltato verso Paola.
    
    Lei teneva il foglio in mano come imbambolata, e aveva ragione.
    
    Quello che avevamo davanti non rappresentava solo un patrimonio economico; non rappresentava solo un pezzo di storia; rappresentava il resto della nostra vita. Venduto quello, né io né lei avremmo mai più avuto bisogno di lavorare. Perché la dedica in francese era datata 14 luglio 1903, e recitava “al mio amico esule, con l’augurio di tanta fortuna, dal suo amico Paul Cézanne”.
    
    Avevo tirato fuori il portafogli ed estratto le banconote: «Guardi, il quadro è carino. Le posso offrire trecento euro.»
    
    Oh, non fate quella faccia.
    
    Io non ho alle ...
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