1. (Grosseto) Le cicale della maremma e una vecchia contessa


    Data: 07/12/2021, Categorie: Sentimentali Autore: Familiare, Fonte: EroticiRacconti

    Sono vestito da pinguino e sto ballando con una ragazza che trema come una foglia, ma perché possiate capire come mai e perché, bisogna tornare a qualche ora prima, in cui stavo davanti alla villa in rovina con la camicia di lino fradicia di sudore.
    
    Quella che avevamo davanti doveva essere stata una casa padronale stupenda, nei primi del ‘900. Aveva metà tetto crollato nell’ala est e quello a ovest non stava meglio. Nella parte centrale era stato restaurato; aveva tegole nuove e pannelli solari. Nel giardino le foglie secche avevano ricoperto la ghiaia, le siepi nelle aiuole erano state seccate dall’edera e il sole si rifletteva sui muri scrostati tanto da farmi a tenere gli occhi socchiusi.
    
    Da almeno un paio di chilometri, l’unico suono che sentivamo dai finestrini erano le cicale.
    
    Di fianco a me c’era Paola, che si portava i trent’anni come quel vestito verde che indossava, simpatia e speranza su scarpe da ginnastica nuove e una borsetta a fiori. Aveva le spalle larghe, che assieme alla sua taglia 42 le davano una forma ad anfora greca, aggraziata e sensuale. Aveva i tratti mediorientali della nonna, e sorrideva come se nessuno le avesse mai spezzato il cuore.
    
    «Contessa Zordi!» avevo urlato.
    
    Paola aveva tirato di nuovo la maniglia arrugginita di fianco al cancello. Stavolta la catenella era crollata a terra assieme a due ragni e un pugno di foglie. Si era voltata a guardarmi a labbra serrate, poi aveva tirato fuori il cellulare. L’aveva alzato al cielo ...
    ... girando su se stessa, rito pagano di supplica al dio della ricezione.
    
    Niente da fare.
    
    C’erano quaranta gradi, eravamo al sole, sentivo le gocce di sudore colarmi sotto la camicia ed ero tentato di tornare nel fresco abbraccio dell’aria condizionata in macchina. Stavo per proporlo quando dal retro della villa era spuntato un donnone in occhiali da sole, vestito bianco a fiori e cappello di paglia a tesa larga. Agitava la mano con in mano una forbice da giardino.
    
    «Sono qui» aveva gracchiato «Giovanotti! Sono qui!»
    
    «”Giovanotti”» avevo ripetuto sottovoce.
    
    «C’hai quarant’anni, che ti doveva dire?»
    
    «È una contessa. “Signori” andava bene.»
    
    Paola aveva guardato alle mie spalle: «Non vedo la vostra carrozza, gentil signore.»
    
    La vecchia era arrivata prima che io replicassi. Sorrideva e ansimava, arrancando sotto il sole con in mano una tenaglia e un cestino. Sciabattava più in fretta che poteva, ma aveva un bel po’ di cene di natale addosso. Ci aveva aperto il cancello e avevamo attraversato la ghiaia in silenzio, schiacciati dal sole e dal ronzare delle cicale. La vernice bianca della porta d’ingresso era così vecchia da polverizzarsi al tocco.
    
    Eravamo entrati in un salone con le imposte chiuse, da cui filtravano tenui delle lame di luce. Nella penombra vedevo sagome di mobili e divani coperti da vecchie lenzuola o strati di cellophane. Il soffitto era alto almeno cinque metri, l’aria odorava di cenere e il fresco era un sollievo.
    
    «Vi posso offrire dell’acqua ...
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