1. La trepidazione, l’attesa e l’avventura


    Data: 05/05/2019, Categorie: Trans Autore: amoreandrogino, Fonte: Annunci69

    ... e, certamente, senza gioia. Poi, mentre mi stavo dando un leggerissimo velo di fard mi venne davanti agli occhi l’immagine di un treno che partiva sferragliando e si allontanava sbuffando nuvole di fumo: un’immagine assurda, una locomotiva a vapore che non avevo mai visto in vita mia se non a cinema, un’immagine nostalgica, malinconica, di partenza e di abbandono.
    
    Eppure la partenza non dovrebbe essere mai un abbandono, ma l’avventura da cui ritornare con qualcosa in più nella mente e nel cuore! Partire non è allontanarsi da qualcosa ma avvicinarsi all’altrove! Partire, prima del tempo dei rimpianti, prima che sia troppo tardi per vivere l’avventura. La mattina dopo telefonai al prof di Sociologia: lui mi riconfermò l’invito e mi disse che saremmo potuti stare insieme, se a me faceva piacere, un’intera giornata!
    
    Era giunto il giorno della partenza per Roma, la Capitale: ai miei avevo detto che sarei rientrato (con loro non potevo usare la desinenza femminile!) la sera tardi con l’ultimo treno ed essi, già stupiti del fatto che non andavo con l’autobus, mi chiesero perché mi portavo dietro uno zaino pieno di robe. Non so cosa m’inventai, accennai a certi libri perché non potevo mica dir loro che c’erano le mie robe da femminuccia, sia quelle che avevo negli scatoli sull’armadio, sia quelle nuove che avevo comprato apposta nei giorni precedenti, ovviamente non all’Aquila ma a Pescara: un perizoma rosso, un paio di sandali con il tacco, calze a rete, una minigonna ...
    ... aperta davanti come un kilt e una camicetta trasparente a fiori. Per il treno, mi giustificai dicendo che dovevo scrivere una tesina per la scuola, ma la verità era che volevo essere più libera nei movimenti e potermi cambiare nella toilette: sarei salita, o meglio salito sulla Frecciabianca da maschietto ma, all’arrivo a Roma, volevo essere una perfetta ragazza che nessuno poteva chiamare frocio per la strada.
    
    Poco dopo la partenza, infatti, mi cambiai completamente: indossai le calze a rete che nascondevano la leggera peluria delle mie gambe, la camicetta trasparente e il kilt, fermando i lembi con lo spillone dorato col fregio di bambù. Mi spazzolai i capelli, un po’ lunghi per la mia versione maschile ma perfetti per quella femminile, e mi truccai leggermente per sembrare una studentessa ingenua, anche se la delicatezza dei miei lineamenti confliggeva con i sandali da mignotta che avevo messo ai piedi. Meglio così: doveva esserci qualcosa di ambiguo nel mio look, per sconcertare quelli che mi avrebbero osservato. Subito dopo andai a sistemarmi in un vagone diverso da quello in cui avevo preso posto alla partenza perché ora sentivo di poter dire di essermi “sistemata” e non “seduto”. E trepidai di emozione quando vidi lo sguardo ammirato di due signori di una certa età che già stavano nello scompartimento, parlando tranquillamente tra loro e che, al mio arrivo, erano rimasti per qualche secondo senza parole. Rimasi in silenzio anch’io fingendo di leggere un libro che tirai ...