1. Dar figli alla patria


    Data: 28/10/2018, Categorie: Cuckold Dominazione / BDSM Etero Autore: taboo, Fonte: RaccontiMilu

    Il governo fascista ti inviava 5000 lire se mettevi al mondo sette o più figli. Una cifra impressionante per l’epoca. Senza contare gli assegni familiari e le polizze d’assicurazione, altrettanto ragguardevoli.
    
    Mio zio sposò sua moglie per sfuggire alla tassa sul celibato. Non so prima di sposarsi cosa facessero, ma sicuramente erano dei poco di buono. Non fu un matrimonio per amore; ma i soldi che guadagnarono con il premio nuzialità gli permisero di abbandonare ciò che stavano facendo e di ritirarsi in campagna, comprando un piccolo pezzo di terra con una casetta e una minuscola stalla, dove poterono dedicarsi all’agricoltura e all’allevamento; lontani da ogni centro abitato, in modo da evitare le noiose quanto estenuanti manifestazioni del regime, oltre ad evitare di poter rincontrare qualcuno che potesse riconoscerli e ricordare loro il passato.
    
    Ero stato adottato da loro, in una maniera che allora come ora sarebbe da considerarsi illegale; non ho mai conosciuto i miei veri genitori, n&egrave so nulla di loro. Sapevo che quelli erano i mei zii, ma io dovevo chiamarli papà e mamma, altrimenti erano guai… Ero quindi il primo dei miei fratelli, o cugini, che dir si voglia. Appena fui in grado di muovermi e camminare, mio padre volle che lo aiutassi nel suo lavoro. Facevo piccole cose, quello che la mia età mi permetteva; raccogliere la frutta che cadeva dagli alberi, stare attento che qualche animale non scappasse. Negli anni, poi, si affiancarono a me gli altri ...
    ... fratelli.
    
    Non avevamo una grande senso della civiltà, vivevamo quasi allo stato selvatico. Quando sentivamo e vedevamo passare un’automobile o un aereo per noi era una festa. Non avevamo ricevuto una vera istruzione, anche se mio padre ci aveva insegnato a scrivere e a fare i conti: “tanto basta” tuonava. Non era vivere in campagna che ci portava all’inciviltà, era la mancanza d’amore. Mio padre non aveva il minimo interesse umano per noi; ci trattava come si trattano le bestie. Non che ci picchiava, o almeno non molto, semplicemente eravamo delle bocche che doveva sfamare. Non molto diversa era mia madre. Freddi come il ghiaccio.
    
    Quando poi, anni dopo, vidi “brutti, sporchi e cattivi” di Scola, quasi mi venne un colpo: ecco, la mia infanzia era tutta lì. Sei fratelli abbandonati a se stessi.
    
    Ero in casa a raccogliere la cenere dal camino; in campagna si usava come concime. I miei fratelli fuori a fare chissà cosa. Sentivo i miei genitori discutere nella loro stanza. Mio padre beveva, un’abitudine che aveva sempre avuto. Mia madre parlava con voce energica.
    
    Volevo capire cosa succedeva. In quel periodo incominciavo a sentire la voglia di essere responsabile, forse perch&egrave tutta la vita vissuta fino a quel momento l’avevo passata a curare la terra. Tralasciai il camino e mi avvicinai alla porta. Quel che vidi &egrave rimasto sempre in me, impresso come una fotografia.
    
    Mia madre andò verso il grande comò, vi appoggiò i glutei e rimanendo dritta, prese i lembi ...
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