1. Sverginità: "barbara"


    Data: 23/09/2017, Categorie: Etero Autore: renart, Fonte: Annunci69

    ... bene, squittisce soddisfatta la giunonica chaperon, cominciamo ad intenderci. Quindi si stende sulla scrivania, tira su le gambe, dando visione di un culo grosso e tondo, anch’esso integralmente abbronzato come le cosce, e sfila il perizoma di pizzo in coordinato con le autoreggenti, per poi rimettersi seduta con le gambe aperte, in modo che la passera sia del tutto visibile. E anche in questo caso l’effetto è immediato, e il cazzo ha un altro scossone che gli dà la forma e la consistenza dell’obelisco dell’Immacolata. Incremento il ritmo della raspa, incollando lo sguardo su quest’ennesima versione dell’Origine, che mi sembra un grosso fiore carnivoro dalle labbra rosa già spalancate, pronte a fare un boccone della sua dose di carne dura. Ma intanto la donna si è tolta la giacca, scoprendo le spalle nude, slaccia il fiocco viola intorno al collo e sfila dall’alto anche il top, il cui bordo intoppa per un attimo sul seno lussureggiante, che si alza di un tot e nel ricadere rimbalza pesante un paio di volte su se stesso, trasmettendomi una scarica erotica che immediatamente si trasferisce alla mano destra, determinando un ulteriore aumento di velocità del saliscendi, e allo stesso tempo, come per osmosi, quello stesso movimento tellurico di carne percuote il cazzo del fortunato co-protagonista della sequenza, che si morde il labbro strabuzzando gli occhi e prende l’iniziativa di stringersi il coso nel pugno, menandoselo lentamente a sua volta. Poi tocca alla gonna, e per ...
    ... toglierla questa dea dell’abbondanza scende dalla scrivania, porta le mani dietro la schiena e tira giù la lampo, dimenando i fianchi per favorire la discesa dell’indumento lungo la superficie delle cosce e inclinando gradualmente il busto in avanti, così che le grosse mammelle, ornate di areole larghe e rosa sulle quali troneggiano capezzoli sugli attenti come soldatini di piombo, prendono a ballonzolare nel vuoto gravitazionale come caciocavalli blanditi da un leggero zefiro primaverile. Sto quasi per venire, allora rallento, prendo fiato, spengo la cicca nel guscio di cocco che funge da posacenere, mi concentro su altri dettagli, tipo lo scarno arredamento della stanza, il ficus alla sinistra della finestra, con i vetri oscurati da orribili veneziane gialline, lo schedario sulla destra, una stampa degli Orologi Molli di Dalì alla sinistra dell’ingresso, sopra il divanetto a due piazze di velluto blu. Niente altro, a parte la scrivania e le due sedie utilizzate dagli attori. Quando il flusso di sangue nella vena centrale dell’uccello rallenta le pulsazioni, ritorno sulla donna, che adesso è di nuovo seduta sulla scrivania, con le gambe aperte e le braccia stese all’indietro, così da reggere l’inclinazione del busto, con le tette che si sono leggermente divise, andando una a destra l’altra a sinistra, tuttavia lasciando il solco ancora piuttosto stretto, così da non mollare nemmeno per un istante l’idea madre che nasce non appena lo si vede. Indossa soltanto gli autoreggenti, ...