1. Come parlarne - Capitolo VII


    Data: 07/11/2017, Categorie: Feticismo Autore: VB1977, Fonte: EroticiRacconti

    ... trovarmi vittima della sua ira cocente.
    
    Quando si accorse di me, potei vedere la sua espressione mutare, da furiosa, a confusa, a consapevole, mentre capiva di essere vittima di uno scherzo.
    
    “Ti picchio!” esclamò. Ma i suoi occhi, lucidi, oramai dicevano tutt’altro.
    
    “Anch’io ti amo!” e le allungai i fiori.
    
    “Il fatto che li accetto non vuol dire che non ti picchio più. Ti picchio lo stesso.”
    
    “Ho anche questo.” E le diedi la scatolina con la cavigliera.
    
    Non era nulla di speciale, non avevo neanche speso troppo tempo per decidere tra quella o un’altra sul banchetto del mercato.
    
    Quando la tirò fuori però, sembrò molto contenta: “E questa? Cerchi sempre una scusa per avere a che fare con i miei piedi…”
    
    Scossi le spalle: “Da quanto stiamo insieme non mi hai mai dato l’impressione che io dovessi avere bisogno di cercare una scusa…” Ma prima ancora che finissi di parlare, mi abbracciò con passione, stringendomi a sé. Poi ci baciammo, dicendoci reciprocamente quanto ci fossimo mancati.
    
    Nonostante il caldo bentornato, in auto l’atmosfera si raffreddò, tuttavia non me ne accorsi subito. D’altronde il mio sguardo e la mia attenzione erano rivolti al tormento subìto da alcuni omini rimpiccioliti, visibili solo a me, legati ai pedali della macchina, sui quali Debora, impietosamente, faceva pressione, ogni volta che doveva accelerare, frenare o cambiare marcia. Questi omini soffrivano tremendamente sotto una costante tortura, senza mai raggiungere la morte. Il ...
    ... loro corpo poteva subire pienamente qualsiasi sofferenza, ma non moriva mai. In quella posizione ognuno di loro gridava e supplicava, disperato, nell’udire le urla e nel vedere il dolore provato dai propri compagni, consapevole che presto o tardi la stessa sorte sarebbe toccata anche a lui. Immaginavo la scena dal loro punto di vista, nel momento in cui vedevano l’enorme piede di Debora sollevarsi e spostarsi, realizzando che, senza alcuna pietà, si sarebbe abbattuto proprio su di loro. Immaginavo la disperazione nelle suppliche emesse dalle loro vocine, attutite dai rumori del motore e del traffico. Nessuno riusciva ad udirli e liberarli dalle loro sofferenze, mentre i piedi giganti continuavano inesorabilmente a schiacciarli, torturandoli spietatamente. Era un pensiero che mi eccitava molto, ma era un po’ limitato dalle famose Adidas bianche, di cui Debora non aveva voluto disfarsi, nonostante il cambio look di qualche mese prima. Avrei preferito infatti vederla guidare con dei sandali, o delle scarpe aperte, così che i miei occhi potessero godere e gustare pienamente la visione delle sue dita dei piedi mentre sbiancavano, nell’atto di premere i pedali, immaginando che per lei stritolare gli omini fosse un’azione conscia e voluta e che le desse piacere.
    
    Ma il suo silenzio mi risvegliò da quel sogno ad occhi aperti.
    
    Più che il suo silenzio, quello dello stereo, che in silenzio non ci stava mai.
    
    “Qualcosa non va, Debora?” domandai. Ed immediatamente fui preda delle più ...
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