1. Incidenti sul lavoro


    Data: 22/10/2018, Categorie: Cuckold Etero Autore: esperia, Fonte: RaccontiMilu

    Quando una giornata comincia male può finire solo peggio. E pare proprio che le cattive notizie non arrivino mai sole.
    
    Però quella mattina nulla faceva prevedere la tragica piega che avrebbero preso gli eventi. Una bella giornata di maggio, un po’ ventosa, ma calda e luminosa.
    
    I ragazzi del cantiere per Expo 2015 sembravano contenti e motivati. Dopo anni di crisi nell’edilizia, finalmente si tornava a lavorare. Una fatica dura: si cominciava presto al mattino (almeno quelli del primo turno) e si terminava tardi la sera, morti di stanchezza. Spesso si doveva lavorare anche la notte, sotto le luci di potenti riflettori.
    
    Il cantiere pareva una succursale dell’Onu: c’erano tutte le razze. Noi italiani (soprattutto bergamaschi) eravamo ormai in minoranza: arabi, romeni, ucraini, sudamericani e africani invece ci avevano quasi del tutto soppiantati.
    
    Per questo, quando si ruppe la cinghia che sosteneva la catasta di grossi tubi d’acciaio che rotolarono addosso a questo ragazzo italiano, l’orrore fu, se possibile, ancora più grande.
    
    Recuperammo freneticamente il suo corpo sperando invano di trovarlo ancora in vita, ma non ci fu nulla da fare.
    
    Io fui uno dei primi ad accorrere, perché in quel momento mi trovavo dietro alla pila di tubi e stavo apprestandomi a controllare proprio che le cinghie fossero sistemate per bene quando accadde l’incidente.
    
    Fossi passato cinque minuti prima, forse, non sarebbe successo nulla.
    
    Conoscevo appena il ragazzo. I suoi turni ...
    ... non coincidevano con i miei e solo ci incrociavamo per una mezz’ora mentre lui staccava e io cominciavo. Tra italiani, comunque, si solidarizzava e anche se non avevo mai scambiato una parola con lui quando ci si vedeva ci si salutava almeno con un cenno del capo.
    
    Per quel giorno non si lavorò più.
    
    Arrivò la Polizia, l’Ispettorato al Lavoro, i giornalisti.
    
    Ci interrogarono tutti, uno per uno, si cercarono responsabilità, cause, disattenzioni o leggerezze.
    
    Dalla faccia dei poliziotti capii che nutrissero qualche leggero dubbio su alcuni di noi, tra cui me. E, ripensando all’accaduto, non posso escludere, nel profondo del mio cuore, di aver avuto una qualche piccola responsabilità nella tragedia.
    
    Un bel peso da sopportare per il resto della tua vita, no? Sono cose che danno da pensare.
    
    Rimuginando questi tristi pensieri me ne tornai a casa – un lungo viaggio in macchina fino a Treviglio – da mia moglie Gaia.
    
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    Arrivai all’ora di cena, ma non trovai nulla sul fuoco. Non che avessi fame: la tragedia di quel mattino mi aveva completamente tolto l’appetito, ma comunque mi parve strano.
    
    Ancora più sorpreso rimasi quando vidi mia moglie completamente vestita, pronta per uscire, con accanto due valige.
    
    Ero preparato a raccontarle le vicende di quella tragica giornata, invece lei mi batté sul tempo.
    
    – Marco, ti devo parlare.
    
    – Parlare? E di che?
    
    – Non c’è una maniera facile per dirtelo, Marco. Ci ho pensato ...
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