1. Il seminterrato


    Data: 09/10/2018, Categorie: Cuckold Etero Gay / Bisex Autore: esperia, Fonte: RaccontiMilu

    ... l’incarico di occuparsi dei cornuti: li rinchiudeva nelle gabbie e somministrava loro le punizioni.
    
    Poi disse:
    
    – Ho paura che quello che devo spiegare adesso posso dirlo solo a tua moglie, quindi ti prego di scusarmi se ti lasciamo qui da solo per un momento. Prendi pure qualcosa al bar, se vuoi. Poi sarà lei a decidere se riferirti quanto le sto per dire.
    
    Si allontanarono da me e io dal mio divanetto potevo solo vedere mia moglie dapprima un po’ rigida ma man mano sempre più coinvolta nel racconto di Desirée fino alle volte a spalancare la bocca per l’incredulità o a portarsi le mani sul viso per la sorpresa.
    
    La discussione fluì per più di venti minuti e alla fine Enrica ritornò a sedersi da me con una espressione pensierosa e eccitata sul volto.
    
    Cercai di chiederle spiegazioni, ma sembrava assente.
    
    A quel punto uno degli stalloni si avvicinò.
    
    Era un uomo di circa un metro e novanta, con larghe spalle e la testa rasata. Era nero, ma di una tonalità chiara, caffelatte. I suoi lineamenti non erano tipicamente africani: il naso era sottile e gli occhi non nerissimi. Vestiva sportivo, con una giacca scura su una camicia bianca aperta sul petto e dei jeans attillati che evidenziavano un rigonfiamento fuori misura all’inguine. Il ventre era piatto.
    
    Irradiava sicurezza di sé e una certa arroganza. Pareva di qualche anno maggiore di noi, quindi sulla quarantina, anche se è difficile indovinare l’età degli africani.
    
    – Posso sedermi un attimo? Sono Lawall. ...
    ... – Disse a mia moglie.
    
    – Certo, piacere. Io sono Enrica e questo è mio marito Piero.
    
    Lawall mi diede un’occhiata non certo amichevole e, ignorando la mano che gli stendevo, disse:
    
    – Già.
    
    Poi prese uno sgabello, lo piazzò tra me e mia moglie e si sedette di fronte a lei volgendomi le spalle.
    
    Io feci per dire qualcosa, ma Enrica alzò un sopracciglio e mi fulminò con la sguardo.
    
    Lawall spiegò a Enrica di essere ghanese, della tribù Ashanti, di essere figlio di un colonnello dell’esercito e della sua amante, una donna bellissima che l’aveva lasciato per seguire un piccolo ma ricco imprenditore del parmense, con cui si era messa a vivere.
    
    Lawall era il cognome, ma visto che il nome era un complicato e impronunciabile sciroppo di O, J, GB, in Europa tutti lo chiamavano solo Lawall.
    
    Aveva frequentato le scuole in Italia e l’Università di ingegneria a Manchester e aveva un ottimo impiego nella filiale italiana di una società inglese di consulenza nel campo della sicurezza informatica.
    
    Io però cominciai a sentirmi nervoso e presi Enrica per un braccio e le dissi che era ora di andarcene, che non mi sentivo a mio agio e che non ne potevo più.
    
    Il viaggio di ritorno a Milano, nelle buie e nebbiose strade del pavese, fu silenzioso e carico di foschi pensieri.
    
    Dopo mezz’ora di viaggio pieno di tensione nella nebbia Enrica sbottò:
    
    – Piero, lo voglio fare!
    
    – Di cosa stai parlando?
    
    – Ti voglio mettere un paio di corna, Piero!
    
    – Non se ne parla! è ...
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