1. 013 vita al campo


    Data: 13/04/2019, Categorie: Gay / Bisex Autore: CUMCONTROL, Fonte: Annunci69

    Chi come me ha avuto la fortuna di vivere una esperienza singolare, capirà senza dubbio che le esperienze che molti definiscono come tragiche, per me furono catartiche.
    
    Furono vivide delucidazioni della vita queste mie esperienze vissute, resemi dalla sventura e sublimate con grande amor proprio.
    
    Nessuno conosce bene la realtà dei rom, e chi come me ha vissuto per qualche tempo presso di loro, potrà darne conto senz’altro, sentendosi in piena sintonia con il mio vissuto presso di loro.
    
    Ero finito certo in un accampamento rom per le ragioni addotte negli episodi precedenti, e per quanto non fossi più giovanissimo la mia accoglienza al campo fu positiva. Lo avreste detto?
    
    Per colmo di fortuna il capo era uno di noi, un omosessuale insomma. Nelle loro comunità l’omosessualità è ben tollerata anche se non largamente praticata nelle forme che ci sono note, poiché i favori retroattivi, rettali diremmo in gergo, sono tradizionalmente resi da un soggetto sottomesso estraneo alla comunità. La sottomissione dei membri del campo è un comportamento assai deprecato e si rischia fino all’estromissione. Per questo motivo, soggetti come noi, delle rottinculo si dice nel gergo, vengono accolti come giocattoli in un campo per divenire nel più breve tempo possibile la fonte primaria del loro divertimento.
    
    Dopo essere stato trombato dal capo, che su di me aveva esercitato il diritto delle ius primae noctis, potevo dirmi liberato dal soggiacere con esso. Certo io scherzavo sul ...
    ... mio buco del culo che chiamavo fica, ma assicuro ai lettori che dopo la scopata con il capo, che vantava un cazzo largo e grosso come una lattina di birra, io mi preoccupai abbastanza. Come perché.
    
    Intanto mi aveva fatto male. Ma che sborrate a cazzo moscio.
    
    Ma come dire….
    
    avevo il culo disfatto del tutto, un cencio inguardabile di carne che mi si risvoltava in esterno, che manco più fica poteva dirsi quella cosa lì, tanto che mi par che il mio culo potesse dirsi il culo un babbuino.
    
    E ciò mi disorientava, poiché temevo l’irreversibilità di una inguardabile estroversione del retto. Oh, e badate bene che avevo soggiaciuto col capo dalle 7 del mattino fino alle 15. Tre sborrate e prima di sborrare campa cavallo, ci passava ore a impalarmi senza darmi il tempo di bere dell’acqua o fare una scorreggina.
    
    Niente di niente. Giù, sotto, a scrofa.
    
    Avevo il disagio di un culo sgalabrato. Avevo come dire al posto dell’ano… un tarallo, tanto mi parve in quei giorni il mio buco del culo, così, rivoltato di tutto punto come un osceno calzino. La cosa non mi piaceva affatto, preferendo dunque per me la consapevolezza della mia fessurina come dire integra ad una zampogna invereconda senz’arte né parte. Camminavo per il campo come una nuda bertuccia, coprendomi di tanto in tanto le natiche e sorridendo sorniona ad ogni zingareggiante passare in quel campo, affinché la mia faccia da culo potesse distrarre dalle deficienze innaturali del mio malandato culetto.
    
    All’epoca il ...
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