1. La strana voglia


    Data: 25/07/2021, Categorie: Autoerotismo Dominazione / BDSM Autore: MASTER84, Fonte: RaccontiMilu

    ... pensare, ma senza trovare il coraggio di affrontarli, temendo qualche loro domanda. Mi feci una doccia bollente e mi infilai nel letto benedicendo la confortante serenità delle lenzuola fresche.
    
    Non riuscii a prendere sonno: oltre alla selva di “se” c’era il pensiero fisso della cantina, ridotta ad un mosaico di indizi. C’era una pozzanghera di vino e vetri, c’erano spezzoni di corda tranciata malamente, c’era la pallottolina di nastro adesivo argentato, e infine, come una dichiarazione di colpevolezza, c’erano le mie scarpette da tennis zuppe di vino. Attesi che tutti andassero a dormire, poi lottando contro la paura di scendere durante la notte da sola giù nella cantina (una paura irrazionale, infantile, che persisteva nonostante avessi da poco provato paure ben più concrete, laggiù), mi avviai. Adesso che la luce c’era, era tutto diverso.
    
    Spesso mi sono chiesta se il mio timore d’essere scoperta in base a pochi indizi avesse un fondamento, o non fosse più semplicemente il frutto di una paranoia indotta dalla mia ipersensibilità per certi segnali (segni vaghi sulla pelle, foulard un po’ troppo spiegazzati, e io che mi facevo più attenta durante certe scene nei film). Poteva benissimo darsi che una persona senza il bondage fisso in testa, a certi particolari neppure badasse, o che comunque fosse sprovvisto della giusta chiave di lettura.
    
    Ma se uno avesse messo piede in quel corridoio stretto e lungo, non avrebbe avuto alcun dubbio.
    
    Quella stanza era stata il ...
    ... teatro di una evasione.
    
    Le orme dei saltelli a piedi uniti erano stampate con chiarezza nella polvere. Al di qua della pozza di vino rosso (me ne accorgevo solo ora che era rosso), c’era il bianco serpentello della corda con la quale mi ero legata le caviglie. Poi c’era il nastro adesivo accartocciato accanto alla parete; poco più in là c’erano diversi frammenti di corda, i residui tranciati del mio nodo a manetta (più o meno si capiva quale era stata la sua forma originaria, nonostante i tagli); c’erano le due calze che avevo adoperato come bavaglio, una delle quali ormai a forma di piccola palla incrostata di saliva rappresa. Ero sicura che guardandola da vicino avrei visto anche i segni dei denti.
    
    E c’era la sedia appoggiata alla parete di fondo, con le mie scarpette da tennis entrambe rovesciate per terra. Non c’era possibilità di dubbio: in quella stanza c’era stata una donna legata e imbavagliata che era riuscita a liberarsi e scappare: era chiaro come risulta chiara la frattura di un osso in una lastra ai raggi X.
    
    Richiusi la finestra, poi raccolsi tutti i resti della mia avventura. Al vino ci avrei pensato il giorno dopo, mi limitai a spostare il coccio che mi aveva salvata in mezzo agli altri. Lo posai quasi con gratitudine. Provai a cancellare le impronte nella polvere, poi me ne tornai in camera mia, ben sapendo che sarei stata sottoposta fino alle prime luci dell’alba ad un’altra seduta di quella raffinata tecnica di tortura che erano le domande che ...