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    Data: 11/07/2019, Categorie: Gay / Bisex Autore: CUMCONTROL, Fonte: Annunci69

    L’amore vero è il primo graffio di luce nel cielo azzurro della prima gioventù.
    
    Il resto è sabbia.
    
    Almeno lo fu per me. Dico questo perché negli anni a seguire non rivissi più emozioni così potenti. Emozioni pure, titaniche, potenti.
    
    Prepotenti.
    
    La vita mi ha predestinato certo ad altri amori negli anni della maturità, ma mai come nel primo, io ho trattenuto nel sangue le folgori assolute di quell’incanto vissuto in una primavera immortale.
    
    Ero innamorato, si. E a rendere tutto così bello nella mia favola innocente fu la clandestinità di un rapporto vissuto dentro un istituto di rieducazione. Una favola perfetta.
    
    Nessuno era al corrente che tra me e padre Goran potesse esserci un rapporto così autentico. Lui era di vent’ anni più grande di me, e la sua età anagrafica rispetto alla mia, mi suscitava come un senso di protezione.
    
    Ero piccola chiglia dalle vele rigonfie che rinunciava al mare aperto, preferendo al dispiego delle rotte, le coccole amniotiche di piccoli fiotti di una darsena premurosa chiamata Amore.
    
    Era estate.
    
    Era l’ora della pausa, e sedevo su di un masso del grande parco di quel mio istituto, diradato e pago del mio sentimento per il mio amato. Andavo spesso a sedermi su quel masso, per rifarmi del ricordo della notte prima, al pensiero delle carezze del mio tutore, della passione clandestina, delle dolci parole sussurrate.
    
    Rinunciavo al pranzo, e correvo nel bosco a sedermi su quel masso. Ero felice, e respiravo a pieni polmoni ...
    ... la luce maculata della selva cresciuta alle spalle della gotica costruzione di quei miei beati anni del castigo.
    
    Udivo il fremito dei larici, e mi illudevo che il loro canto fosse orchestrato dal vento solo per me. Ero come un bambino, stupito dell’opalino mutevole delle acque del lago che filtrava azzurro tra i fitti fusti del bosco, e mi accoccolavo tra i tremiti della mia schiena, perduto in un amore immortale.
    
    Tutti i giorni all’ora di pranzo, il mio uomo, padre Goran, se ne stava nel suo laboratorio, presso un capanno di legno sul ciglio del lago, ai piedi di un declivio erboso del parco di questo nostro istituto.
    
    Prima di raggiungerlo, io mi fermavo a pochi passi da quel capanno per godere con tutti i miei sensi quell’ empireo fulgente di foglie, di brezza e di lago.
    
    Mi arrendevo ai pensieri della notte prima, dopo i conficchi resistenti delle sue potenti smanie, quando gli spermi guizzavano nel mio ventre ancora avido di lui.
    
    Era un ginnasta, era maschio e negli spasimi del mio retto io mi avvinghiavo a lui come una femmina. Il suo petto di vello vermiglio ficcava nel mio sangue la smania dei morsi. Le carni essudavano gocciole di una rugiada salmastra, e se di me poteva dirsi la femmina, di lui si enunciava il principio del funzionario della specie, un essere preposto nella carica dei lombi e nel genitale confitto, a generarmi in grembo l’illusione del parto.
    
    Nelle folgori grandiose io deflagravo a lungo sotto di lui in orgasmi titanici stringendo le ...
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