1. Senza Rete


    Data: 31/10/2017, Categorie: Sensazioni Autore: Caliban, Fonte: RaccontiMilu

    SENZA RETE…
    
    Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno,
    
    giuro che lo farò,
    
    e oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò.
    
    La voce di De Gregori risuonò nella sua mente, dolce, calda e morbida come una coperta di cachemire in una notte invernale. La mente umana &egrave qualcosa di così infinitamente prodigioso, consente davvero di evadere la realtà rifugiandosi in alieni, unici e indissolubili mondi. Così &egrave decisamente più reale il suo correre lungo un infinito verde prato in discesa. L’aria fresca sul viso, sottili fili aguzzi d’erba nuova che solleticano e pungono le delicate piante dei piedi. L’odore della campagna umida di rugiada primaverile.
    
    I grugniti animaleschi di Fetore non possono cancellare la musica nelle sue orecchie. Non ha mai voluto imparare i nomi di medici, infermieri e inservienti, ognuno di loro però ha un nome dell’anima nella sua mente, qualcosa di indelebile. Quello il cui duro, piccolo e prepotente cazzo si sta facendo strada incurante dentro di lei &egrave da sempre Fetore. Il Nome, nomen omen, le balzò immediato tra le labbra, causa l’odore acre di disinfettante e ammoniaca che emanavano le sue sottili, rudi mani cattive, mentre la spingeva nella sua futura stanza insieme a Orrore.
    
    Orrore era l’altro inserviente notturno, un volto che sarebbe stato perfetto per il peggior Dario Argento. Non aveva ancora deciso chi odiava di più tra i due, ma avrebbe così volentieri sparso in un fosso i resti dei loro ...
    ... corpi.
    
    Finalmente finì. Venne dentro di lei con un grugnito più forte e lungo, abbandonando per diversi lunghissimi attimi il suo peso sul suo esile torace, facendole quasi mancare il respiro. Dopo un tempo che le parve infinito, durante il quale riuscì a valicare di corsa la verde valle e risalire lungo l’opposta collina, finalmente si scostò e uscì da dentro di lei. Il suo viso pallido, gli occhi azzurri, bellissimi, eppure così vuoti dentro la fissarono per qualche istante. Un sorriso odioso percorse le sue labbra e la sua lingua le solcò il volto, lenta, dal mento alla fronte, passando su labbra e occhi, che lei serrò forti.
    
    Fetore si alzò dal lettino, sollevò le mutande e i calzoni e li riabbottonò rapidamente. Quindi l’asciugò frettoloso tra le gambe con uno strofinaccio che prese dalla tasca del camice. Riabbassò la bianca, ruvida camicia da notte lungo le sottili, candide, delicate gambe, poi alzò la coperta fin sotto il suo mento. Una controllata alle cinghie di cuoio che le stringevano i polsi al letto e uscì dalla stanza, richiudendo la porta a chiave.
    
    La luce finalmente si spense.
    
    Erano più di due mesi ormai che veniva legata di notte. Per evitare che continuasse ad auto infliggersi dolore, disse così lo psichiatra. In realtà era a lui che aveva voluto infliggerlo, cercando di bucarlo con la matita. Eppure Hannibal al cinema c’era riuscito, lei aveva solo fatto un goffo tentativo prima che le sue mani la stringessero e la strappassero dalle sue piccole dita. ...
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